L’intervento del Sindaco Riccardo Mortandello 4/11/2018
nel centenario dalla fine della Grande Guerra
Oggi, 4 novembre 2018, siamo chiamati a celebrare la ricorrenza istituzionale di giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze armate.
Permettetemi di rivolgere un saluto alle autorità presenti, le autorità militari, religiose, civili e a tutti i cittadini e turisti presenti qui in piazza Roma a Montegrotto Terme per celebrare e onorare questa giornata.
Onore quindi alle Forze Armate che sono baluardo e caposaldo della nostra Repubblica e che quotidianamente sono impegnate per garantire la nostra sicurezza personale e quella del nostro territorio. Il mio auspicio è che le Forze Armate possano sempre operare con spirito di servizio e dedizione nei compiti che lo Stato e la nostra carta costituzionale affida loro, consapevoli della grandissima responsabilità anche di persuasione morale che esse rappresentano nei confronti di ogni cittadino, specialmente nei confronti delle giovani generazioni tanto bisognose di modelli positivi da emulare e da cui trarre veri insegnamenti al fine di respingere, allontanare esempi umani e ideologici distorti che sconfinano nella superficialità e in pensieri riprovevoli e vuoti.
Saluto con grande piacere la presenza oggi del signor Sindaco dei Ragazzi, Nicola Corradini e di una nutrita rappresentanza del Consiglio Comunale dei Ragazzi di Montegrotto Terme motivo di vanto e orgoglio per tutta la città.
Oggi ricorre il centenario dalla fine della prima guerra mondiale, la Grande Guerra. Sullo striscione che campeggia qui davanti il municipio potete leggere che celebriamo il centenario della Vittoria nella Grande Guerra.
Ma dopo cent’anni possiamo dire che si trattò di una vera vittoria?
Sicuramente il conflitto ha creato le condizioni di un’unità nazionale. Nei nostri monti combattevano fianco a fianco ragazzi veneti, sardi, siciliani, pugliesi, calabresi, giovani provenienti da tutte le regioni d’Italia. Ragazzi che pur venendo dalla stessa Patria provenivano ma da mondi lontani, con dialetti differenti e che, con il dramma della guerra, hanno incrociato le loro esistenze contribuendo a diventare popolo italiano.
L’Italia uscì vincitrice dalla guerra ma alle prese coi problemi che caratterizzavano gli stati che persero. Innanzitutto col problema della tenuta democratica delle istituzioni che come sappiamo aprì le porte al dramma della dittatura fascista che trascino la nostra Patria dentro l’incubo della seconda guerra mondiale. Il tutto grazie anche a una vuota retorica che ha accompagnato la narrazione della Grande Guerra che non deve essere ricordata come momento di esaltazione nazionale ma come una strage inutile, dove intere generazioni di ragazzi vennero sterminate, dove si dispensarono immani lutti a famiglie la cui memoria arriva anche ai giorni nostri grazie ai racconti dei nostri nonni.
Non dobbiamo dimenticare che la prima guerra mondiale è stata una guerra disumana, senza onore, senza pietà. Dove si usarono nuove armi micidiali: gas asfissianti, lanciafiamme, bombe a mano, mazze ferrate. Dove dentro le trincee i nostri giovani letteralmente marcivano nell’attesa di immolarsi e venire uccisi da raffiche di mitra tra fili spinati. La guerra va raccontata nella sua crudezza: alla fine del 1918 i morti italiani furono 680.000, gli invalidi privi di arti, occhi e addirittura della faccia arrivarono a 450.000, l’epidemia di spagnola ne uccise altri 500.000. Quando si parla di guerra bisogna farlo sapendo che la morte ha un odore orribile.
Va ricordato anche il sacrificio di tantissime donne. La guerra è stata combattuta anche al di fuori dalle trincee, a “casa”. E le donne lasciati i ruoli di figlie, madri, e mogli si sono ritrovate a dover sostituire i loro uomini nei ruoli più disparati. Operaie, infermiere,contadine e perfino spie. Sacrificando spesso in maniera consapevole la loro esistenza.
L’Italia vinse, ma il prezzo pagato fu troppo alto. E nonostante la vittoria il germe della violenza come ho detto poco prima non venne debellato, ne in Italia, ne in Europa. Quel germe è presente anche al giorno d’oggi e in maniera subdola sta tentando di riemergere. Sta a noi contrastarlo e debellarlo con l’intelligenza, con gli insegnamenti che la storia ci dà per affrontare il futuro e non ripetere gli errori mortali del passato.
I 70 anni di pace che noi tutti stiamo vivendo sono stati possibili solo al ruolo di mediazione svolto dall’Unione Europea, dagli stati dell’europa uniti. Pensiamoci bene a questo prima di dare fiducia a chi vuole scardinare un’istituzione che ci ha permesso di di vivere nella pace e che ha permesso a tanti giovani di incontrarsi non in un campo di battaglia ma nelle aule di un’università.
Siamo chiamati come italiani e come europei ad una riflessione storica che sia un esercizio di memoria collettiva.
Siamo chiamati a ripudiare la guerra come ci impone la nostra costituzione, siamo chiamati a coltivare azioni di pace, di rispetto reciproco, di difesa delle istituzioni democratiche.
Nella canzone del piave una frase del testo recita “Non passa lo straniero” oggi lo straniero non è un essere umano come allora. Oggi “lo straniero” è l’intolleranza, oggi “lo straniero” è la discriminazione, oggi “lo straniero” è il razzismo. Oggi “lo straniero” è la violenza, oggi “lo straniero” è il sopruso verso chi è più debole, oggi “lo straniero” è la nostalgia che qualcuno ha del fascismo. E con forza dobbiamo dire “Non passa lo straniero!”
Solo così potremo rendere veramente onore a tutti coloro che hanno atrocemente perso la giovinezza e la vita durante la grande guerra, solo così saremo degni eredi di quei giovani caduti nominati dai nostri ragazzi. Solo così potremmo dire che l’Italia ha vinto.
W la pace, W l’Europa unita e W l’armonia tra i popoli.
Riccardo Mortandello